Dolce tipico della città di Perugia, è nato in onore del Santo di cui porta il nome, patrono del capoluogo umbro (insieme a San Lorenzo e Sant’Ercolano) che lo venera il 29 Gennaio.
Ha una classica forma a ciambella con incisione pentagonale dell’impasto ad indicare, secondo la tradizione, le cinque Porte di Perugia. Nato come dolce povero, alla base della sua preparazione ci sono ingredienti semplici e facilmente reperibili.
Di seguito vi riportiamo la ricetta che ha fatto vincere il 1° premio come miglior Torcolo di San Costanzo a“Faffa dal 1851 il Fornaio” di Ponte Valleceppi di Perugia nell’anno 2000, in occasione del Concorso omonimo indetto dal Comune di Perugia, con la consegna di una statuetta interamente in argento dello scultore perugino Roberto Cappelletti, corredata dalla pergamena consegnata dall’allora Sindaco della città Dott. Renato Locchi.
- 1200 gr di farina
- 670 gr. di acqua
- 240 gr di zucchero
- 340 gr. di cedro candito
- 100 gr. di olio extravergine d’oliva
- 70 gr. di strutto
- 440 gr. di uva sultanina
- 240 gr. di pinoli
- 100 gr. di lievito di birra
- 20 gr. di anice
Impastare la farina con l’acqua tiepida aggiungendo il lievito. Per la lievitazione dell’impasto, detto “biga”, occorre metterlo in luogo con temperatura media e costante per circa 3-4 ore. Quando l’impasto ha raddoppiato il suo volume, si aggiungono: zucchero, uva sultanina, cedro candito a cubetti, pinoli, anice, strutto e olio extra vergine di oliva; si lavora ancora l’impasto fino a renderlo omogeneo e si formano delle ciambelle praticando su ognuna di esse cinque incisioni diagonali, quindi indorare le stesse con il rosso dell’uovo. Le ciambelle vengono poi collocate su teglie da forno e infornate per circa 30 minuti.
Il prodotto fresco va conservato ad una temperatura di circa 6°/8° C per 2/3 giorni al massimo.
La tradizione del Torcolo è strettamente legata alla storia di San Costanzo.
Secondo la leggenda, infatti, egli fu portato davanti al console Lucio durante la persecuzione di Antonino e barbaramente flagellato, quindi rinchiuso con altri compagni in una stufa ardente dalla quale uscì illeso. Ricondotto in carcere, convertì i suoi custodi che lo aiutarono a fuggire. Rifugiatosi in casa di un certo Anastasio cristiano, fu, insieme con questi, di nuovo arrestato. Dopo varie peripezie nelle carceri di Assisi e Spello, fu decapitato presso Foligno il 29 gennaio del 170 ca.. Le diverse note storiche sono concordi nell’ assegnare il suo martirio al tempo di Antonino in una località presso Foligno denominata “il Trivio”. Il Santo perugino aveva infatti in questa città, vicino a Porta Romana, una chiesa che fu demolita nel 1527. Dopo il martirio, fu portato a Perugia e sepolto non lontano dalla città in, un luogo detto “Areola fuori Porta S. Pietro”, dove sorse la prima cattedrale di Perugia, dedicata al primo degli Apostoli. In questo stesso luogo fu eretta l’attuale chiesa di S. Costanzo consacrata, secondo un’iscrizione esistente nell’antico altare, nel 1205 dal vescovo di Perugia Viviano. L’episcopato di Costanzo, si basa su un’antica tradizione per cui si può ritenere assai probabile che egli sia stato il primo vescovo di Perugia.
Sull’origine della sua forma a ciambella esistono varie versioni: si dice che il buco rappresenti il collo decapitato del Santo; si dice che la forma a ciambella rappresenti la collana di San Costanzo ricca di pietre preziose (da qui il cedro candito), che si è sfilata al momento della decapitazione; infine si dice sia stato fatto con il buco semplicemente per poterlo infilare facilmente nei bastoni per trasportarlo alle fiere o ai mercati. La leggenda vuole che ogni anno, durante la festa di San Costanzo, le ragazze nubili vadano nella Chiesa di San Costanzo per chiedere se si sposeranno entro l’anno: guardando il gioco di luci riflesse sull’immagine del Santo, se si avrà l’impressione che San Costanzo ha fatto l’occhiolino, significa che le nozze ci saranno, altrimenti, per consolazione, il fidanzato regalerà alla ragazza il tipico dolce, il “Torcolo di San Costanzo” appunto. A questa usanza è legato anche un detto che riportiamo in dialetto perugino che così dice:
“San Costanzo dall’òcchjo adorno, famme l’occhjolino sennò n’c’artorno”
ovvero
“S. Costanzo, dall’occhio adorno, fammi l’occhiolino altrimenti non ci ritorno” (cfr. CATANELLI Luigi, Vocabolario del dialetto perugino, Tibergraph Ed., 1995)