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La tradizione del pane sciapo
La tradizione del pane sciapo
Perugia e il pane “sciapo”
Il forestiero che si trova a vivere a Perugia di primo acchito registra tre caratteristiche della città: Perugia è tutta salite e discese, la gente è chiusa, il pane è sciapo. Questi tre elementi sono frutto delle vicende storiche che hanno segnato il capoluogo di quella che oggi è la nostra regione: l’Umbria.
Il nucleo originario di Perugia è impervio poiché edificato dagli Etruschi su due colli attigui dai quali si domina la pianura umbra. Questa particolarità combinata ad una successiva fortificazione, ha reso la città difendibile dagli attacchi dei rivali, soprattutto nel suo periodo di massimo splendore che va dal XIII al XV secolo. Le sue vie, irte e pittoresche con pendenze “hors catégorie”, la rendono quindi scomoda al forestiero, come un tempo lo era per il nemico.
Da perugino, sulla nostra chiusura emotiva che io definirei più come riservatezza, mi piace citare il poeta Claudio Spinelli: Sémo ‘n po’ malfidati quist’è vero / benzì tocca capìlla la ragione: / per centinara d’anne sott’al clero / e doppo, per cambià, sott’ai padrone… / de fregature n’ém aùte tante / ch’adè ‘n ce fidàm più manco d’i sante.
Sul pane sciapo esiste una teoria coperta da un alone di mito: l’introduzione del pane insipido a Perugia è legata alla guerra del Sale del 1540.
Veniamo alla vicenda storica. Agli inizi del XVI secolo Roma era al culmine degli sfarzi e per la costruzione della Basilica di San Pietro venivano vendute le indulgenze plenarie. La ribellione dei cristiani d’oltralpe sancì la frattura tra il Vaticano e le chiese riformate. Dovendo in qualche modo sopperire al calo di entrate determinato dal Protestantesimo, lo stato pontificio iniziò ad attaccarsi a ciò che aveva più prossimo, Perugia.
La città, tra le più prospere in Italia all’epoca, formalmente faceva parte dei domini pontifici ma di fatto era indipendente sotto la signoria dei Baglioni. Il governo cittadino era reso instabile da una faida interna a questa famiglia e di conseguenza Perugia appariva più debole e vulnerabile. Agli inizi del 1540 papa Paolo III impose ai perugini di acquistare il sale non più dalle saline di Siena ma da quelle pontificie ad un prezzo raddoppiato. Si noti come i proventi derivanti dalle tasse sul sale sono stati da sempre una delle principali fonti di entrata dei governi: nella Francia del Re Sole erano circa il 60% delle riscossioni, in Italia fino al 1974 esisteva il monopolio pubblico su questo bene.
I perugini, tramite il consiglio dei Priori che reggeva la città, rigettarono l’ingiunzione pontificia ed in risposta a quella che da Roma veniva vista come un’insubordinazione vennero inviati 9000 uomini capitanati dal figlio del papa, Pierluigi Farnese. In una guerra che durò due mesi, Perugia cadde perdendo ricchezze e libertà. Le case più belle della città, le torri (ve ne erano oltre 70), le porte etrusche e persino alcune chiese vennero distrutte per far posto ad un’immane fortezza (la Rocca Paolina) che sanciva l’instaurazione del potere papale su Perugia. La sconfitta nella Guerra del Sale segnerà la sottomissione totale della città e del suo territorio allo Stato Vaticano. Le confederazioni di arti e mestieri scompariranno nel buio di un periodo di assoggettamento che durerà per tre secoli e che sarà risolto solo con l’Unità d’Italia.
Da questa circostanza nasce, secondo una leggenda che non trova fonti storiche, la panificazione priva di sale a Perugia e dintorni. Seppur sconfitti, i Perugini – il popolo più bellicoso che vi fusse in Italia a detta di Paolo III – rinunciarono a mangiare il pane salato, privandosi così di un piacere pur di non pagare le tasse al Papa invasore.
Però la panificazione scipita è caratteristica di tutta quella fascia mediana d’Italia che va dalla Toscana interna alla Marca Pesarese e Anconetana, e che di conseguenza attraversa tutta l’Umbria. Il pane sciapo si mangiava in Italia prima del 1540, come ad esempio a Firenze. Descrivendo l’esilio Dante scrive nel XVII canto del Paradiso “Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle /lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale..”
Alla stregua della vicenda perugina, il pane sciocco fiorentino, trae le sue origini da un evento ben descritto: nel XII secolo il prezzo del sale in Toscana salì alle stelle a causa della decisione di Pisa – in conflitto con Firenze – di bloccare il commercio del sale che arrivava in quelle terre proprio dal porto pisano.
Vicissitudini storiche a parte, è bene sapere che nelle aree dell’Italia centrale lontane dalle coste, il sale era un bene di lusso; e che in queste zone sottoposte al regime di mezzadria il pane si faceva una volta alla settimana usando una farina impura. Luigi Catanelli nel suo Usi e Costumi del Territorio Perugino ai primi del Novecento scrive: “In campagna (il pane) è più scuro. Preparato e cotto nel forno a legna di casa, una volta alla settimana, negli ultimi giorni è duro, insipido e pesante”. A ciò va aggiunto che il sale rende il pane più gommoso e lo fa indurire più in fretta, oltre ad inibire l’attività del lievito che viene disidratato dall’azione del sale.
Ma la tradizione culinaria del centro Italia è tutt’altro che insipida, grazie ad un perfetto bilanciamento tra pane e companatico. A fare da contraltare alla panificazione sciapa vi è una rinomata tradizione di stagionatura della carne suina: la norcineria, che prende il nome da una città dell’Umbria dove il pane è rigorosamente senza sale: Norcia. La conservazione delle carni di maiale avveniva e avviene grazie ad un abbondante uso di sale e spezie.
Le tecniche norcine, applicazione delle teorie della scuola di Preci sulle carni suine, si sono gradualmente diffuse in tutta Italia, toccando tra i primi proprio il territorio perugino. Quindi pane sciapo e salumi saporiti, perché il pane si faceva sempre, mentre il maiale si spezzava una volta all’anno. Oltre a ciò, la lontananza dalle coste faceva in modo che anche il pesce – cibo di vigilia – che si mangiasse in queste zone vi arrivasse conservato attraverso la salagione. Pochi sono i piatti tipici della tradizione perugina a base di pesce, tra questi vi è il baccalà in umido, dove l’eccessiva saporosità è smorzata dall’intingolo di pane sciapo.
I tre secoli bui di Perugia quelli che vanno dalla Guerra del Sale all’annessione allo stato sabaudo, hanno uniformato la cucina umbra, legata alla ciclicità delle stagioni e a ciò che la mezzadria concedeva. Tra gli elementi fondamentali abbiamo la carne di maiale, le leguminose e il pane sciapo. Per i perugini quest’ultimo è visto come un simbolo anche alla luce delle sanguinose vicende che hanno preceduto la fine del dominio pontificio su Perugia.
A Perugia dunque il pane senza sale è diventato motivo di orgoglio. Da generazioni si tramanda il concetto che il pane sciapo sia l’emblema della reazione perugina alla sconfitta della città contro le truppe pontificie nella Guerra del Sale, poco importa se non esistono fonti storiche a riguardo o se si mangiasse prima di quell’episodio. Ai perugini – bellicosi malfidati, chiusi e testardi – così piace e così è.