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Il pane tra storia e leggenda
In tutta la storia dell’uomo non c’è mai stato un alimento così importante come il pane, che oltre ad essere il cibo di primo sostentamento, distinse in modo netto e chiaro le differenze di classe e le lotte sociali. L’abbondanza o la penuria di pane hanno sempre determinato nel corso dei secoli, alternativamente, periodi di tranquillità o di tensione sociale.
La scoperta del pane avvenne in Egitto. La leggenda vuole che la prima a gettare nell’impasto di acqua e farina il residuo della preparazione della birra (il cosiddetto Lievito di birra), sia stata una serva egiziana, appunto, per fare un dispetto alla sua padrona, ignorando quale miracolo stava per compiere.
Il “pane”, se così si può definire, tipico egiziano in realtà non era altro che la “galletta”, un pane duro con una forma molto schiacciata insaporito con varie spezie, come i semi di papavero, il finocchio, l’anice, il rosmarino, fino ad arrivare al miele, all’uva, ai fichi e ai datteri.
La Bibbia narra che Mosè ordinò agli Ebrei di prepararsi per la fuga dall’Egitto con rifornimenti di “pane azzimo”, cioè non lievitato e quindi di più lunga conservazione. Ancora oggi, è con questo pane che si ricorda la Pasqua ebraica. La fermentazione, che genera la lievitazione, era considerata impura perché si inseriva in un processo di decomposizione del cibo: per questo al sacrificio divino si destinava pane non lievitato. Oggi nella Chiesa cattolica il pane è celebrato sotto forma di ostia bianca, che ricorda simbolicamente il corpo di Cristo e un frammento di pane azzimo, simbolo appunto di purezza.
In Grecia, sebbene il Paese fosse ricco di olivi, ma povero di cereali, la produzione del pane assunse ritmi industriali, grazie anche al costante perfezionamento dei forni e alla dotazione di due macine nei molini. La leggenda vuole che la dea Demetra, protettrice dell’agricoltura e madre di Persefone, rapita ancora fanciulla da Ade, reagì adirata al rapimento della figlia cessando di procurare agli uomini interi anni di bel tempo e fertilità delle terre impedendo la crescita delle messi e scatenando un inverno duro che sembrava non avere mai fine. Con l’intervento di Zeus si giunse ad un accordo, per cui Persefone sarebbe rimasta nell’oltretomba solo per un numero di mesi equivalente al numero di semi di melograno offertogli da Ade da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell’anno. Così Persefone avrebbe trascorso sei mesi con il marito negli inferi e sei mesi con la madre sulla terra: il periodo corrispondente alla germogliazione e alla maturazione del frumento. Demetra allora accoglieva con gioia il periodico ritorno di Persefone sulla Terra, facendo rifiorire la natura in primavera ed in estate.
A Roma con la riforma frumentaria dei Gracchi i disoccupati ottennero il diritto alla farina gratuita mentre in età imperiale, sotto i Flavi, ai fornai fu tolto il diritto di cambiare mestiere. In generale il pane romano era compatto perché non veniva quasi mai usato il lievito; al contrario si faceva uso di pani speciali speziati. Molto usato era anche il farro.
Nell’Alto Medio Evo trovare farina e pane non era semplice; i raccolti erano spesso insufficienti e le carestie e le epidemie imperversavano. Per celebrare il trattato di Verdun, nell’843, si mescolarono argilla, crusca e poca farina per farne una pagnotta.
In età comunale la panificazione è sottoposta ad attenti controlli ed era di grosso rilievo il ruolo politico della corporazione dei fornai: a Firenze, era quasi completamente in mano ai Bianchi. Il pane bianco restò ancora a lungo un sogno e divenne poi un privilegio riservato solo alle famiglie benestanti.
La scarsità del pane comportava anche una scarsità delle forme e solo il Rinascimento portò ad un raffinamento della lavorazione del pane. Ma c’era anche chi assumeva il pane come simbolo: gli Accademici della Crusca, per esempio, che nelle dotte discussioni sulla purezza della lingua, si sceglievano nomi da bottega di fornaio: l’Inferigno, l’Impastato, il Lievitato, il Macinato.
Per molti la storia del pane è quasi sempre la storia delle lotte per la mancanza di pane; come quella del 1628 citata dal Manzoni ne “I promessi sposi”, dove si legge che Renzo:” viveva anche lui in quell’opinione o in quella passione comune, che la scarsezza del pane fosse cagionata dagl’incettatori e da’ fornai; ed era disposto a trovar giusto ogni modo di strappare loro dalle mani l’alimento che essi, secondo quell’opinione, negavano crudelmente alla fame di tutto un popolo…”.
La Rivoluzione Francese fu la conseguenza di una serie ripetuta di carestie e poiché Maria Antonietta aveva proposto l’alternativa delle brioches, il popolo non andò a Versailles a cercare il re e la sua famiglia, bensì, ironicamente, il panettiere e il suo garzone! Nel 1728 viene scoperto il glutine, cioè un complesso di proteine contenute nel frumento e di lì a poco si incomincerà ad utilizzare il lievito industriale.
In Italia, nel XIX secolo, non c’è un incremento di produzione del pane, soprattutto a causa della cecità nella politica degli investimenti nel settore. Il pane, comunque, va delineandosi come l’alimento di base degli operai. La “battaglia del grano” negli anni Venti culmina nelle bonifiche messe in atto dal regime fascista: una delle tipiche immagini di cui amava fregiarsi il Duce era quella che lo rappresentava intento a falciare le spighe nei campi, a torso nudo e con il cappello di paglia in testa. Spesso però il grano aveva rendimenti inferiori alla spesa, così che, in certi casi, esso risultava più caro di quello che si poteva importare dall’estero. Fu stabilito per i fornai anche il lavoro notturno ed è in questo periodo che ha inizio l’industrializzazione del panificio.
Il pane umbro, considerato una variante del pane toscano, che è un pane senza sale e per questo viene chiamato “pane sciapo” o “pane sciocco”.
La tradizione del pane sciapo risale in Umbria fino ai tempi della guerra del sale del 1540, che Perugia condusse contro lo Stato Pontificio ai tempi di papa Paolo III.
Ma cos’è il pane? O meglio, cosa si intende per “Pane fresco”? Niente di meglio, per definire cosa sia, che rifarsi alla legge n. 248/2006 dalla quale risulta che: “la denominazione di «pane fresco» è da riservare al pane prodotto secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento, alla surgelazione o alla conservazione prolungata delle materie prime, dei prodotti intermedi della panificazione e degli impasti, fatto salvo l’impiego di tecniche di lavorazione finalizzate al solo rallentamento del processo di lievitazione, da porre in vendita entro un termine che tenga conto delle tipologie panarie esistenti a livello territoriale”
Il pane si ottiene impastando insieme tre semplici ingredienti: la farina, l’acqua e il lievito. Quest’ultimo può essere di due tipi: il lievito di birra, un lievito industriale fatto chimicamente in laboratorio per permettere di accelerare il processo di lievitazione con una resa maggiore e con minore tempo di lavorazione e il “lievito madre”, composto da una piccola parte dell’impasto del giorno precedente (biga), conservato per questo scopo, che dona al pane una maggiore fragranza e conservazione oltre ad un sapore antico e genuino.
Aggiungendo all’impasto base ingredienti naturali come zucchero, malto, olio extravergine di oliva, ecc., si possono ottenere altri tipi di pane di differenti forme e tipi di lavorazione.
Vediamo in detteglio le caratteristiche principali di suoi ingredienti:
La farina
Se il pane è un grande procacciatore di energie e di calorie, il merito è soprattutto della farina, cioè del grano, il cereale più diffuso al mondo. Le varietà catalogate sono numerosissime: solo in Italia ne sono registrate 92 di frumento tenero e 51 di frumento duro. Il genere triticum è il più indicato per farine da pane; di questo si conoscono due specie e dodici varietà, ma le più usate sono: il durum, cioè il grano duro, e l’aestivum , cioè il grano tenero, di colore giallo-arancio, opaco, leggero, di grana piccola. I grani duri sono i più nutrienti perché hanno più glutine. L’alto valore nutritivo del grano è dato dalla presenza nel chicco dell’endosperma o albume che rappresenta circa l’83% del peso: è qui che sono contenuti le proteine, i minerali, le vitamine e gli enzimi. I carboidrati sono presenti sottoforma di amido, le cui molecole sono unite fra loro dal glutine. Le rimanenti parti sono la crusca (14% del peso) e il germe (3% del peso), ricchi di valori nutritivi e di vitamine che il processo di raffinazione (cioè di setacciamento e di abburattamento) esclude dalla farina rendendola bianca. Secondo il grado di abburattamento, si hanno le varie categorie di farina in commercio: la 00, la 0, la 1, la 2 e l’integrale. Il tasso di abburattamento indica la percentuale di farina ottenuta da 10 parti di frumento. Più il grado è basso, più la farina è povera di ceneri e quindi più chiara: per la 00 è del 50%, per la 0 del 72%, per la 1 del 80%, per la 2 dell’85%, per l’integrale del 100%. Il colore della farina dipende dalla maggiore o minore presenza di crusca: il processo di raffinazione è costoso, per cui le farine bianche, meno ricche di ceneri, glutine e vitamine, sono le più care.
Esistono molti tipi di farine,tra cui:
- la farina di segale che ha una gamma di utilizzo ridotta ed è ricca di sali minerali e vitamina B. Ha proprietà lassative e calmanti;
- la farina di mais che conferisce friabilità e un gusto particolarmente dolce al pane;
- la farina di avena che è dolciastra, rende il pane elastico, è ricca di proteine e di sali minerali, dà un pane estremamente energetico, ma in certi casi, specie nei soggetti ipertesi, può essere di difficile tollerabilità;
- la farina d’orzo che è anch’essa molto dolce e rende il pane ancora più morbido;
- la farina di grano saraceno o di fraina usata soprattutto in Russia e molto nutriente;
- la farina di miglio, piuttosto sciapa, ma ben digeribile;
- la farina di riso usata per ridurre la collosità dell’impasto;
- la farina di riso integrale che con la sua carica zuccherina rende il pane denso, morbido e liscio. E’ nutriente e tonificante e ha buoni effetti sui disturbi intestinali;
- la farina di soja che ha un grande potere nutritivo.
L’acqua
Per avere un buon pane non bisogna sottovalutare l’importanza dell’acqua. La quantità da aggiungere all’impasto deve essere ben calibrata: se ce n’è troppa, la “resa in impasto”, e quindi il pane, sarà colloso e molle; viceversa, il pane sarà troppo asciutto e si raffermerà rapidamente. I sali di calcio e magnesio, contenuti nell’acqua, svolgono un’azione positiva sul glutine; le acque dolci, poco dotate di questi sali, generano impasti molli e viscosi.
Il lievito
Altro ingrediente essenziale è il lievito. C’è una polemica, tra i fornai, se sia segno di infelice lievitazione o marchio di perfetta panificazione, il trovarne una pallottolina non sciolta al centro delle forme più grosse. Tutti comunque la chiamano “anima”. Quello naturale o madre ha segnato tutta la storia del pane: è una fermentazione endogena, si trasmette da una pasta all’altra, mettendo cioè un pezzo di pasta del giorno prima, non cotto, in un nuovo impasto. La scoperta di quello industriale è recente: lo si ottiene selezionando dei funghi vivi della specie Saccharomyces cerevisae, che hanno la capacità di moltiplicarsi in modo molto rapido (se non è regolato, un grammo di lievito ne può produrre 200 Kg. in poco tempo!). Essendo estratto soprattutto dalla melassa, residuo dello zucchero, si presenta in massa compatta, da cui il nome di “lievito compresso”. Qualcuno lo definisce anche “lievito di birra” ricordando i tempi in cui effettivamente questo veniva impiegato: in realtà quello attuale non ha niente a che fare con questa bevanda. Con i lieviti industriali i tempi di fermentazione (e di tutto il ciclo di lavorazione) si sono molto ridotti. Soltanto con l’impiego del lievito naturale però si può ottenere dal pane la migliore fragranza e il gusto che più soddisfa le papille.